La storia ci ha insegnato che, nel tempo, l’architettura è stata veicolo di auto rappresentazione.Fino al XX secolo tutte le classi sociali hanno contribuito allo sviluppo delle forme della città, considerando i prospetti dell’architettura (“le facciate”) veicolo della rappresentazione di sé.

Il progetto architettonico (nella sua forma più organica, senza la scissione tra interno ed esterno) è stato uno dei mezzi dell’autodeterminazione dell’individuo e della società che lo realizzava. Questo processo di metamorfosi della città avveniva nel corpo della città stessa, con la collettività. I prospetti dell’architettura appartengono alla sfera pubblica ed erano realizzati da e per il pubblico.

Nel tempo, qualcosa è sicuramente cambiato: la società si è evoluta. L’uomo tende ad essere sempre più individualista e chiuso in se stesso e, ovviamente, chiuso nei propri spazi. Sono gli spazi interni e privati che, oggi, diventano il veicolo dell’autodeterminazione. Tutto si riduce alla sfera privata.Non avendo dato e non avendo ricevuto nulla dalla città, l’uomo e il cittadino non si sentono protagonisti dello spazio pubblico. L’evoluzione della società ha nascosto l’identità della città e della collettività, ha sgretolato quel legame intimo che c’era tra la città (fisica, architettonica) e la comunità che la città la viveva e la costruiva. Sgretolatosi questo legame, “città” e “comunità” si sono trasformate in qualcosa di diverso, in qualcosa di irriconoscibile rispetto al passato.

Convinti di questo legame, potremmo affermare che la città e la comunità (per essere considerate tali) sono due “entità” legate, inseparabili; solo considerando vera questa affermazione è possibile essere d’accordo con il paragone che gli storici dell’arte ci hanno tramandato: “Lo spazio pubblico è il cuore di una comunità”.Il cuore è l’organo vitale degli esseri viventi. Il suo ruolo è quello di riceve, rielaborare e ridistribuire.Da questa paragone è facile intuire che, se gli spazi pubblici “pulsano”, la comunità è “viva”. È forse per questo che le piazze (come migliore esempio di spazio pubblico) della storia dell’arte italiana sono quasi sempre rappresentate piene di persone. Perché la piazza funziona come luogo di scambio, dove i cittadini possono incontrarsi e scoprirsi. In un continuo gioco di “dare e avere”.

Laureando in architettura, sta scrivendo una tesi su Santiago de Compostela come città di confine. Dopo anni di militanza nel è diventato, a dispetto della sua giovane età, il presidente del Presidio del Libro di Noicàttaro.

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